Nella Città Eterna la stagione estiva arriva non una ma due volte all’anno! Le Ottobrate Romane si fanno sentire, dai romani e dai turisti. Non si tratta semplicemente di godersi delle giornate assolate nella capitale più visitata al mondo, c’è una storia da raccontare, o forse più di una! Roma è unica al mondo anche in Autunno!
Fino alla fine del 1800, alle Ottobrate Romane si festeggiava la fine della vendemmia con delle gite “fuori porta” a metà ottobre. Frequentatissime da tutte le classi sociali, si usava partire di giovedì con i carri e, per tradizione, si mangiavano gnocchi e piatti tipici romani, sollazzandosi tra giochi popolari, stornelli e il saltarello accompagnato dalle chitarre. Oggi è solo cambiato il modo di godere delle giornate ancora lunghe dai colori “bruciati” dell’autunno appena giunto.
Questo è il momento migliore per visitare il Roseto Comunale di Roma. Più di mille varietà di rose botaniche da ogni angolo della Terra e alcune fioriscono proprio a ottobre! Inebriatevi con i colori e i profumi delle rose autunnali dal 24 ottobre al 10 novembre 2024 al Roseto di Roma.
“Marcello come here”
Così gridava sensualmente Anita Ekberg ne “La Dolce Vita” camminando nella Fontana di Trevi. È l’unico monumento al mondo dove si sta più di spalle che di fronte a guardarlo al fatidico momento di esprimere il desiderio di tornare a Roma. Dal 1762 è alimentata dall’Acqua Vergine, l’acquedotto ininterrottamente attivo da 2000 anni, i cui condotti percorrevano proprio via Condotti, che da questo ruolo fondamentale prese il nome, oggi divenuta strada dello shopping di lusso.
Forse non tutti sanno che alla destra della notissima Fontana di Trevi c’è una fonte magica, molto meno conosciuta, la Fontana degli Innamorati. Costruita dall’architetto Salvi, le due cannelle dissetavano viandanti e innamorati. Si narra che le donne romane incontrassero qui i fidanzati prima della partenza per la leva militare e, giurando fedeltà, bevevano dallo stesso bicchiere alla Fontanella e poi lo rompevano. Perché? Per avere l’amore eterno!
E dall’amore passiamo all’odio, o forse è meglio dire astio critico. Entriamo nella macchina del tempo, torniamo al 1500 romano e ascoltiamo. Non sentite niente? Strano, a quel tempo anche le statue parlavano! Note come “il Congresso degli Arguti”, le sei Statue Parlanti si celano nei luoghi più frequentati dove si affiggevano epigrammi in latino e in italiano per “dire la propria”. Si agiva di notte affinché la mattina seguente chiunque potesse leggerli, prima che fossero rimossi dalle guardie. Era un’espressione forte di quell’antica romanità, verace e satirica, che criticava in versi irriverenti i comportamenti e le decisioni dei personaggi più in vista. Era un incredibile precursore dei social media contemporanei!
Vicino alla splendida piazza Navona incontriamo la prima statua parlante, Pasquino, nella piazza a lui intitolata. È una rappresentazione del mitico Menelao, re di Sparta e marito di Elena di Troia, con il corpo di Patroclo tra le braccia. Si dice che i sonetti novecenteschi del poeta romanesco Gioacchino Belli abbiano proseguito l’opera di Pasquino, la cui identità è invece ancora dubbia.
Furono tanto numerosi i commenti affissi sulla statua da assumere il nome di Pasquinate. E ancora oggi si chiamano così in gergo i brevi messaggi anonimi di satira politica o di costume. Quando le autorità iniziarono a presidiare la statua, sorsero di lì a poco le altre cinque Statue Parlanti.
Dalla più antica alla più recente, nel 1580 compare anche il Facchino in via Lata, la più piccola delle Statue Parlanti. Deriva il nome dagli “acquaroli” o “acquaricciari”, i facchini che riempivano le botticelle dalle fontane pubbliche per rivendere l’acqua nelle case. Temuti perché somiglianti a Martin Lutero nell’abbigliamento, si narra che fossero scherniti e spesso sfigurati nel volto dalle pietre lanciategli contro. La statua appare proprio così, sfigurata.
Marforio nel cortile del Palazzo Nuovo nei Musei Capitolini al Campidoglio, l’enorme statua del I secolo a.C. raffigurante Oceano o forse il fiume Nera, è tra i protagonisti de “La Grande Bellezza” di Sorrentino. Si narra che dialogasse con Pasquino in un “botta e risposta” di quesiti e sentenze rigorosamente satirici.
Tanto brutto da sembrare una scimmia e meritare il nome di Babuino, la statua parlante di fine Cinquecento rappresenta in realtà un sileno. Fu tanto criticata ma tanto amata, al punto da battezzare con il suo nome l’antica via Paolina e rinominare le sue pasquinate in babuinate. Ancor più curioso è trovare una statua considerata orrenda in una delle strade più eleganti di Roma. Insieme a via del Corso e via di Ripetta, compone il Tridente, ovvero le tre strade che da piazza del Popolo giungono nel cuore del centro storico della Capitale, nel Rione Campo Marzio.
Arriviamo nella piccola piazza San Marco, all’angolo tra Palazzo Venezia e la basilica di San Marco al Campidoglio, al cospetto di Madama Lucrezia. E’ l’unica statua parlante al femminile e racchiude la leggenda di Donna Olimpia Madalchini. Meritò il soprannome di Pimpaccia, ovvero “donna di facili costumi”, da Pasquino per aver alimentato ostilità e pettegolezzi in casa Pamphilj.
“O tu che m’arubbasti la capoccia vedi d’ariportalla immantinente sinnò, vòi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”
Non dobbiamo andar lontano per scovare l’Abate Luigi perché in piazza Vidoni, vicino a Largo Argentina, s’incontra la sua scultura d’epoca tardo-romana. Forse raffigura un alto magistrato ma nel dubbio, il popolo riconobbe le sembianze di un sagrestano della vicina chiesa del Sudario, affibbiandogliene il nome. La statua fu privata della testa in un atto di vandalismo che provocò l’ultima pasquinata della statua parlante nel 1966.
Il modo migliore per concludere queste giornate assolate, dall’aria frizzantina? Pizza e mortazza… “e passa la paura”, come si dice a Roma!