Nella storia della Tuscia, le donne importanti non sono di certo mancate: antiche e moderne, nobili e popolane hanno rappresentato il filo conduttore tutto al femminile di un glorioso passato e un frenetico presente in una terra ricca di tradizioni e cultura.
Il nostro viaggio inizia da Tarquinia, patria degli Etruschi e della bellissima Velcha la fanciulla dipinta nella tomba degli Orchi della vasta necropoli dei Monterozzi. Si chiamava in realtà Velia, Velia Spurinna, nipote di Velthur il Grande, che aveva sconfitto i Greci durante l’assedio di Siracusa. Sposò Arnth Velcha, appartenente ad un’aristocratica famiglia di magistrati dai cui trasse l’appellativo con il quale è ormai nota in tutto il mondo. Amata e rimpianta per la sua precoce morte, rimane una presenza vivida nella memoria cittadina essendole intitolata la località marittima di Marina Velcha, nel tratto compreso tra il litorale sabbioso di Tarquinia e di Montalto.
Ma non bastano il mare e l’archeologia per connotare questo territorio, declinato al femminile: l’agricoltura offre il meglio di quanto possa esserci, dall’asparago verde di Canino e Montalto all’olio d’oliva EVO Canino DOP, dal vino Tarquinia DOC ai legumi della Tuscia PAT, e questi prodotti della terra sono stati sempre usati al meglio nella cucina tradizionale; le acque sorgive delle Terme di Vulci, benefiche, ricche di sali minerali e adatte anche per trattamenti estetici completano un panorama di benessere.
Dal mare alla città di Viterbo il passo è breve, anche se non sarà certo l’amore ad accumunare la prima protagonista alla prossima. Stiamo parlando della bella Galiana, la fanciulla prescelta per essere divorata da una scrofa bianca simbolo, per i viterbesi, delle loro origini troiane. La giovinetta venne però strappata a questo triste destino da un magnifico leone, così che la fama della sua bellezza poté raggiungere Roma.
Infatti un nobile romano, Giovanni Vico, incuriosito da tale incanto giunse appositamente a Viterbo. E se ne innamorò. Ma a nulla valsero le sue lusinghe, Galliana non ne voleva sapere, tant’è che accettò di mostrarsi agli occhi dell’infelice innamorato solo quando capì che la sua città era in grave pericolo. Ma questo gesto di generosità le fu fatale: quando si affacciò per ottemperare al proprio dovere, una freccia la colpì e la ferì a morte.
Si tratta ovviamente di una leggenda che però prende vita e diventa storia nei racconti delle persone che la tramandano: così, vero o falso che sia, il sarcofago etrusco-romano in marmo bianco murato sulla facciata della chiesa di Sant’ Angelo in Spatha, a piazza del Plebiscito, su cui è scolpito lo splendido bassorilievo con la caccia del cinghiale Caledonio, pare sia la tomba della nostra nobildonna e che la torre ubicata a sinistra di Porta Faul, praticamente attaccata all’antica Porta di Valle, sia nota a tutti come la casa della bella Galiana.
Ma in un itinerario che si rispetti non può mancare la montagna ed è per questo che il terzo personaggio legato imprescindibilmente alla propria terra è quello di donna Olimpia Maidalchini che fece di San Martino al Cimino, in collina a un passo da Viterbo, il suo borgo d’elezione.
Nota al popolo come la “Pimpaccia di Piazza Navona” affibbiatole da Pasquino deformando in romanesco il titolo di una commedia esilarante del 1600, la “Pimpa”, promosse la costruzione del borgo che fece progettare al Borromini e del sontuoso Palazzo Pamphilj, su alcuni ambienti semi abbandonati dell’antica Abbazia cistercense di San Martino, utilizzando materiali provenienti dalla ristrutturazione del palazzo romano della famiglia Pamphili, dove lei stessa visse fino alla morte di papa Innocenzo X Pamphilj, nel 1655. Del papa, al secolo Giovanni Battista Pamphilj, era cognata, consigliera e molto intima. Probabilmente alla corte di Olimpia, così come ora, non saranno mancate le gustosissime castagne dei Cimini, meno note delle colleghe di Vallerano, ma ugualmente deliziose in una miriade di preparazioni, salate o dolci.
Percorrendo l’opposto versante dei Monti Cimini, in direzione della capitale, oltre il Lago di Vico ed il borgo di Ronciglione, ecco apparire il paese di Nepi, famoso per l’acqua minerale, certo, ma assai noto anche per la dama della sua Rocca, Lucrezia Borgia, la celeberrima e controversa figlia di papa Alessandro VI.
La città sorge su un promontorio tufaceo difeso naturalmente da due profondi canaloni lentamente scavati dal Rio Puzzolo e dal Rio Falisco, affluenti del fiume Treia; il borgo è affascinante, ma non sono da meno le Forre, gole alte centinaia di metri create nei secoli dall’erosione fluviale – un ambiente perfetto per gli ambientalisti e gli escursionisti – e il territorio a ridosso dell’antica Via Amerina. Forse questo spettacolo naturale dell’Agro Falisco avrà incantato anche madonna Lucrezia quando, nominata dal pontefice nel 1499 signora del borgo, soggiornò anche se per poco tra le mura del suo castello.
E i nepesini la ricordano ancora. Ogni anno, infatti, nei primi dieci giorni di giugno si commemora l’evento della consegna delle chiavi della città alla nobildonna romana, con una suggestiva cena entro le mura della Rocca, degna del banchetto di un re: salumi, fichi, ricotta e miele, crostini ai funghi, zuppe e carni arrostite, una tavola dai contorni antichi ma comunque sempre attuali.