Conosci la Tuscia? Oggi andiamo da Nepi a Castel Sant’Elia alla scoperta di alcune meraviglie che non ti aspetti, nascoste in pochi chilometri.
Siamo a Nepi, uno dei punti di accesso all’antica Etruria affacciato da uno sperone di tufo, una peculiarità affascinante dei borghi della Tuscia. Impossibile non notare la Rocca, voluta nel 1450 dai Borgia e poi trasformata dai Farnese.
Ciò che impressiona è il protagonismo dell’acqua. Cinto da due gole percorse da torrenti, Nepi è la Città dell’Acqua, lo porta scritto nel nome. Famosa quella da bere per la sua effervescenza naturale, per le antiche terme dei Gracchi e per l’acquedotto, opera di Filippo Barigioni, in funzione dal 1727 circa. Ma la sua potenza si scatena nella Cascata di Cavaterra, in dialetto locale con una sola “R”. Si trova nel cuore del borgo di Nepi ma non c’è un sentiero per raggiungerla. Lo scroscio si fa sentire ma lascia ammirare solo da lontano i suoi giochi scenografici d’acqua ai piedi della Rocca dei Borgia.
Seguite le indicazioni per i “Cavoni” e la segnaletica CAI relativa al percorso 178C per scovare un gioiello del territorio nepesino, la Cascata del Picchio. Che poi, a guardar bene, sono due le cascate e si tuffano per 15 metri nella vegetazione “amazzonica”. Non è facile raggiungerla addentrandosi nelle boscose vallate dalla natura selvaggia, ma lo spettacolo inatteso merita tutta la fatica.
Nepi è una delle ultime tappe sulla Variante Cimina della Via Francigena del Nord in territorio viterbese là dove s’incrocia con la Via Amerina, a circa 3 chilometri dalle meraviglie di Castel Sant’Elia. Entriamo nella valle Suppentonia in questo borgo su un pianoro tufaceo e delimitato da due profondi burroni.
Domina il fondovalle la Basilica di S. Elia che dà il nome al borgo, uno scrigno di sorprese nell’Agro Falisco. Si narra che sorga dove Nerone fece erigere un Tempio a Diana Cacciatrice. La basilica fu fondata nel secolo VIII e ampliata nel XII. Le sue forme architettoniche sono infatti in stile romanico ma all’interno pullula di colori e immagini, dal pavimento fino all’abside straordinariamente affrescato e alla croce musiva sopra il ciborio dell’altare maggiore.
Gli affreschi del transetto, di scuola romana, sono databili al 1125. Fondamentale il ciclo dell’Apocalisse, uno dei meglio conservati del periodo. Il pavimento a mosaico è opera di scuola cosmatesca. Nella navata di destra molti affreschi, di fattura diversa, databili tra XIII e il XV secolo.
Attraverso la via dei Santi si giunge al Santuario di SS.ma Maria “ad Rupes”. La grotta originaria è collegata al piazzale del Santuario da 144 gradini e da un giardino che permette la visione della Valle Suppentonia fino a Nepi e al Monte Soratte. La chiesa superiore dedicata a San Giuseppe è stata edificata nel 1907 da Monsignor Doebbing.
Nel Santuario di SS.ma Maria “ad Rupes” sin dal 1700 si venera il quadro di una Vergine assisa al trono con il bambino sulle ginocchia. Nell’iconografia mariana, questa opera rappresenta una vera rarità poiché appartiene al ristretto numero delle immagini in cui la Madonna adora il Figlio dormiente sulle ginocchia materne.
E voi, conoscete queste meraviglie?