Girato quasi interamente nell’Alto Lazio e nella Maremma Laziale, L’Armata Brancaleone offre, scorci storici e panorami di luoghi immersi nel verde: a Viterbo (il portone della vedova appestata è quello di palazzo Chigi), a Canino, Nepi, Vitorchiano, Valentano, Tuscania (la cripta della chiesa di San Pietro), a Chia (la Torre di Chia), nei pressi del Monte Soratte, nella Selva Cimina, sui calanchi della Teverina, nelle zone a ridosso dei laghi vulcanici di Bracciano, Bolsena.
A Civita, nella buia Italia dell’XI secolo, Brancaleone da Norcia, unico e spiantato rampollo di una nobile famiglia decaduta, con un notevole eloquio e ideali cavallereschi, si improvvisa al comando di un piccolo esercito raccogliticcio (l’anziano notaio ebreo Abacuc, il robusto Pecoro, un ragazzino di nome Taccone e lo scudiero Mangoldo), per tentare di prendere possesso del feudo di Aurocastro in Puglia, secondo quanto dettato in una misteriosa pergamena imperiale scritta addirittura da Ottone I il Grande.
Inizia così L’Armata Brancaleone, uno dei film più famosi di Mario Monicelli, che nella storia del cinema italiano è diventato un classico della comicità. Geniale è la scelta della lingua parlata dai protagonisti, tra cui spiccano Vittorio Gassman nei panni di Brancaleone e una giovanissima Catherine Spaak, che interpreta la giovane donzella Matelda. Un misto di latino maccheronico, di lingua volgare medievale con espressioni dialettali, che rendono la narrazione molto divertente.
Nel corso del viaggio, al manipolo di eroi ne capiteranno di tutti i colori, tra cui la decisione di unirsi ai pellegrini per andare a Gerusalemme, alla conquista del Santo Sepolcro. Famosa è la scena del passaggio sul “cavalcone”, un ponticello sgangherato, che frana sotto i piedi dei protagonisti. Del crollo viene incolpato Abacuc, non cristiano, e perciò condotto di fretta “allo battezzo”, sotto una cascata gelata.
Il film ebbe un successo strepitoso, da superare ogni aspettativa. Per superare le resistenze del produttore, Mario Cecchi Gori, Monicelli aveva rinunciato al suo compenso, accontentandosi di una percentuale sugli incassi, non immaginando il successo che avrebbe avuto. Infatti la percentuale fu superiore al compenso, tanto che Cecchi Gori disse che non avrebbe mai più dato percentuali a Monicelli!