Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Unione Sovietica arrivarono ad Auschwitz, aprirono i cancelli del campo di concentramento e liberarono i superstiti. Nel 2005, 60 anni dopo, la Giornata della Memoria è stata approvata ufficialmente dall’ONU per celebrare il ricordo dei morti della Shoah. Esistono dei luoghi-testimonianza nel Lazio che raccontano il senso della Giornata della Memoria. Ne abbiamo scelti alcuni per non dimenticare il 27 gennaio 1945.
Situato a metà strada tra il borgo di Castelnuovo di Farfa e l’Abbazia benedettina, nella provincia di Rieti, il Campo d’Internamento di Farfa entrò ufficialmente in funzione nel giugno 1943, con una capienza di 2.700 persone. Il Ministero dell’Interno aveva ipotizzato di trasferirci parte degli internati del campo di Ferramonti a Cosenza, il principale campo italiano per ebrei. Nel settembre del 1943, quando alla notizia dell’armistizio il personale di guardia abbandonò le proprie postazioni, nel campo erano detenute circa cento ebrei.
Il 27 gennaio, nella Giornata della Memoria, tornano alla mente i volti di uomini, donne e bambini ebrei che furono deportati e che non tornarono mai a casa dopo i rastrellamenti nei Ghetti europei. Per non dimenticare, a Latina è sorto il Museo di Piana delle Orme che raccoglie reperti del secondo conflitto mondiale e dedica un percorso a deportazione e internamento di prigionieri politici e perseguitati ebrei. Una visita che lascia con il fiato sospeso, che fa riflettere sulla tragicità di ciò che è accaduto.
C’è un luogo a Roma che più di altri rappresenta il percorso della Memoria: il Ghetto. Oltre alla visita alla Sinagoga, che ospita il Museo Ebraico ed è conosciuta come il Tempio Maggiore, è d’obbligo percorrere le vie del Ghetto osservando le pietre d’inciampo, piccoli blocchi che ricordano i nomi dei cittadini deportati nei campi di sterminio dai nazisti.
A San Donato Val di Comino è possibile visitare il Museo del Novecento e della Shoah che, attraverso un itinerario interattivo, permette di rivivere l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Il borgo ha ospitato molti stranieri confinati ed è stato anche il paese della provincia di Frosinone a far registrare più arresti tra gli ebrei.
Collocate a Viterbo in via della Verità 19 e dedicate ad Angelo Di Porto, Vittorio Emanuele e Letizia Anticoli, rispettivamente marito, padre e figlia, le pietre d’inciampo, raccontano la storia di una delle tante famiglie ebree, vittima della Shoah, che trovarono la morte nei campi di concentramento tra il 1944 e il 1945. Nate dall’idea dell’artista tedesco Gunter Deming, sono “sampietrini” in ottone, lievemente rialzati, ubicati in prossimità delle abitazioni delle vittime dell’Olocausto, allo scopo di causare “l’inciampo” nei passanti e indurli a volgere lo sguardo non solo in terra, ma anche in alto verso le abitazioni dove vissero uomini e donne barbaramente trucidati. Da questa tragica vicenda riusciamo a trarre un sottile filo di speranza, quello legato al salvataggio del giovane figlio della coppia, Silvano Di Porto, sfuggito alla cattura grazie all’intervento di una vicina di casa, Rita Orlandi, che allontanandolo da quei luoghi, gli salvò la vita.