Se vedete gigli araldici di Francia su finestre e portali di antichi palazzi, non avete sbagliato strada. Siete intorno a Viterbo e il giglio a tre petali è lo stemma dei Farnese, i Signori della Tuscia dal 1500. Ricchi, famosi, potenti. I pontefici li proteggono e loro estendono potere e dominio, facendo della Tuscia un vero e proprio regno. Andiamo alla scoperta dei segni indelebili lasciati al loro passaggio.
La ‘caccia al tesoro’ dei loro possedimenti inizia a Ischia di Castro tra le rovine di Castro, la cinquecentesca capitale del ducato, realizzata Antonio da Sangallo il giovane. Un papa la fece costruire, un papa la distrusse come punizione esemplare per lo ‘sgarbo’ di aver sfidato il potere della Chiesa. Era il 1649 e il mondo andava così. La vegetazione, pietosamente, provvide poi a nascondere la storia. Ora tra le sue rovine è bello passeggiare in una giornata a ritmo lento e ricostruire con la fantasia chiese, case e conventi, piazze e strade, o andare alla ricerca di affreschi, ancora visibili.
Per la cronaca, il Sangallo era l’architetto di papa Paolo III, quello di Palazzo Farnese a Roma, quello dei bastioni ‘alla moderna’ delle antiche mura aureliane, che ancora contornano il centro di Roma. Quello che solo Michelangelo poteva completare. Ma non solo, Sangallo fu colui che subentrò a Raffaello come architetto capo della Basilica di San Pietro!
Dalle rovine passiamo alla gloria sfarzosa di Caprarola, che mostra intatto l’orgoglio del potere: il maestoso Palazzo Farnese. Questa scenografica quinta di una via creata appositamente per farlo risaltare è opera del Vignola. E pazienza se il necessario rialzo per creare la giusta prospettiva a cannocchiale della via andava a ‘ferire’ palazzi e palazzetti, riducendone gli ingressi.
Certo è che l’impatto è incredibile, da fuori e ancora di più dopo essere entrati. La scala elicoidale da percorrere a cavallo, come quello bianchissimo di Paolo III, è tutta affrescata. Permette di raggiungere le splendide sale dipinte: quella dell’eco, tanto amata dai bambini, quella della enorme carta geografica del mondo, come era noto allora. E infine il giardino all’italiana, tra i più belli del Lazio.
Non basta una lunga giornata estiva per conoscere i ‘segni’ farnesiani: tra Castro e Caprarola una serie di piccoli centri furono dominati dalla famiglia. A caccia di gigli Farnese, fermiamoci a Canino. Diede i natali a papa Paolo III Farnese e ora è noto per l’ottimo olio EVO Dop, verde smeraldo con riflessi d’oro.
Proseguiamo per Gradoli, nell’antico palazzo Farnese che domina il lago di Bolsena. Sono bellissimi i fregi del salone del piano nobile, i pavimenti di cotto che resistono da oltre 500 anni, i soffitti a cassettoni. Ma ciò che affascina tutti è la ‘sfilata di moda’ del Museo del Costume Farnesiano. Qui si trovano abiti sfarzosi come su un set cinematografico, per lo più riproduzioni, in un percorso di storia fatto di stoffe e ornamenti preziosi che copre tutto il periodo della dominazione farnesiana.
Da Gradoli si vedono tutti i borghi che, dall’alto o sulle riva, contornano il lago di Bolsena, o vi si appoggiano. Fermiamoci a Capodimonte, proprio sull’acqua. Il borgo è piccolo e grazioso, perfetto per il gusto femminile di Giulia Farnese. La bella Giulia amava molto soggiornare nella splendida dimora e affacciarsi alle finestre a picco sul lago. La vista è sulla selvaggia Isola Bisentina, l’ultima dimora dei rampolli della casata.
Ronciglione è l’unico esempio sopravvissuto dell’urbanistica farnesiana. Proprio per essere sulla variante Cimina della Via Cassia Francigena, via di grande transito dall’Europa a Roma, e verso l’Oriente, vanta una tradizione enogastronomica che mercanti, eserciti, papi, re e pellegrini in transito hanno arricchito di sapori e commistioni. Lattarini e anguille del vicino Lago di Vico, funghi fettuccine e carni alla brace, nonché ottimo olio EVO sono solo alcuni degli esempi. Ma su tutto padrona è la nocciola, utilizzata nelle cucine e da acquistare in tutte le versioni, dolci, salate, e in tante creme.