Perché si fanno i regali? E il Presepe? Chi è davvero Babbo Natale? Ecco alcune leggende natalizie e come sono divenute vere e proprie tradizioni nel Lazio.
Quali personaggi non possono mancare nel Presepe? Il desiderio di San Francesco d’Assisi di diffondere in Italia l’emozione della Natività nella povertà fece prendere vita al primo Presepe Vivente nel 1223 a Greccio. Fu realizzato nella grotta sul monte Lacerone dove dimorò il Santo, così simile a quella di Betlemme. Fu così che dal 1972, a Natale si rivive quell’atmosfera nella Rievocazione Storica del Presepe di Greccio.
I personaggi erano in carne e ossa, ma nel tempo divennero statuine artigianali, forgiando il gesso, il legno, la pietra, la terracotta fino alla plastica. Ciò che ci stupisce, però, è che sul muschio verde spicca un personaggio onnipresente seppur non protagonista. È Gelindo, il pastore. Si narra che partì dal Piemonte per la Terra Santa dove incontrò Giuseppe e Maria. Li aiutò a rifugiarsi nella capanna, gli donò il bue per scaldare Gesù e, persino, fu il primo ad assistere alla nascita. Ecco perché è il più vicino alla capanna nel Presepe!
Con la camicia e i pantaloni alla zuava, porta al braccio la zampogna. Nota nell’Antica Roma come utriculus, è lo strumento a fiato con otre in pelle e canne suonato alle feste pastorali. Durante la transumanza, i pastori zufolavano per allietare se stessi e le popolazioni a valle, specialmente a Natale. Ecco perché da oltre due secoli sono nelle vie di tutta Italia! A Maranola di Formia sono gli strumenti tradizionali più popolari insieme a ciaramelle, pive, bombarde e tamburelli. Le note ancora oggi accompagnano gli sciusci, i tipici canti di questua del 31 dicembre che ricordano quelli intonati un tempo dai pastori in cambio di salumi, legumi e dolci di frutta secca da portare al pascolo per l’inverno.
È così che nacquero tipicità natalizie come il panpepato di Anagni, con noci, pinoli, uvetta, mandorle, nocciole, cioccolato e una spolverata di pepe nero. Oppure i torroncini di Alvito e gli amaretti di Guarcino, con le mandorle dolci e amare. C’è poi il pangiallo romano, con frutta secca, uva passa, canditi, miele e cioccolato.
Ma perché si fanno i regali a Natale? Innanzitutto, non in tutti i paesi del mondo e, a dire il vero, non in tutte le regioni italiane è Babbo Natale a portarli. In pole position ci sono anche Santa Lucia, San Nicola e Gesù Bambino in persona. Inoltre, non tutti giungono il 25 dicembre. Perché? In passato si facevano regali nel solstizio d’inverno, per ringraziare del buon raccolto e propiziarne uno migliore nell’anno venturo. Ad esempio, in alcune regioni dell’Italia del Nord, Santa Lucia li consegna su un asino volante il 13 dicembre, giorno in cui Lucia di Siracusa fu martirizzata nel 300. Tante le leggende sul 13 dicembre ma in realtà è la data in cui cadeva il solstizio, prima dell’avvento del calendario Gregoriano. Ecco perché si dice ancora erroneamente che “Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia”!
San Nicola, invece, porta i doni in groppa a un cavallo il 6 dicembre, quando morì il vescovo greco di Myra nel lontano 343. Molto venerato da Bari al Nord Europa, è riconosciuto anche dalla Chiesa ortodossa come il protettore dei bambini. La leggenda racconta che per sfamare i bambini poveri, con una barca gli portò grano, frutta e ortaggi. Da allora, ogni anno lascia i doni. Con il protestantesimo, si smise di venerare i santi cattolici spostando questa tradizione alla notte del 24 dicembre e sostituendo il santo con Gesù Bambino.
E ora arriva il bello: Babbo Natale. Racchiude in sé San Nicola, o meglio l’olandese Sinterklaas, da cui Santa Claus, e lo Spirito del Natale descritto da Charles Dickens nel “Canto di Natale” con barba bianca e mantello verde. Nella poesia “A visit from St. Nicholas” dell’americano Clement Clarke Moore prende le sembianze del grassottello rubicondo, vestito di pelliccia. In testa ha un berretto, come gli gnomi, e in spalla ha un sacco carico di regali da distribuire nella notte della Vigilia. Viene dal Polo Nord su una slitta con il carro, come gli déi dell’Olimpo, trainata dalle renne. Solo alla fine del 1800, Thomas Nast lo ridisegnò su una rivista americana con l’abito rosso e la pubblicità della Coca Cola negli anni 30 ha chiuso il cerchio, trasformandolo in un’icona pop universale. Il bello è che in molti mercatini lo incontriamo ancora vestito in verde!
C’è persino chi si scambia strenne il 1° gennaio. L’usanza è pagana e nasce con Romolo. Il primo re di Roma aveva fatto cingere con le mura la città e, come buon auspicio, gli regalarono un enorme fascio di rami verdi del bosco dedicato a Strenia. La dea sabina della prosperità aveva infatti un bosco sacro a Roma, sulla Via Sacra. Romolo decise che si ripetesse questo rito ogni anno a venire. La tradizione di diffuse nel popolo che la spostò al 1° gennaio, aggiungendo fichi e mele. Nei secoli, la strenia divenne strenna e la data fu anticipata alla nascita di Gesù.
“Un Natale senza strenne non è un vero Natale”
Non c’è dubbio, lo scrisse Louisa May Alcott in “Piccole donne”, ma è ancor più vero che senza tradizioni non sarebbe arrivato ai giorni nostri!