La natura si sbizzarrisce e crea atmosfere magiche, talvolta mistiche. E quando l’estro della natura diventa ispirazione, nascono delle opere d’arte, quei boschi dove si spalancano gli occhi e il cuore. Entriamo nei boschi fiabeschi del Lazio. Si respira il desiderio di perdersi per ritrovarsi, un po’ come accadde ad Alice nel Paese delle Meraviglie.
Iniziamo a sbirciare nel Parco Naturale Regionale Valle del Treja, un bosco fatato che verdeggia tra Mazzano Romano e Calcata. È un potpourri di pendici, colline e rupi generate da una lunghissima storia geologica influenzata dai vulcani Sabatino e Vicano, da cui originano i laghi di Bracciano e Vico. Le eruzioni hanno ricoperto le rocce, gli agenti atmosferici e il lento scorrere delle acque di superficie hanno scavato le valli.
In questo disegno naturale si stagliano templi etruschi e falisci e resti di chiese medievali tra vecchi sentieri sterrati che si spalancano sulle cascate del fiume Treja. Siamo arrivati alla cascata di Monte Gelato, uno spettacolo di scrosciante energia. Il suo fascino ha rapito l’attenzione dei registi cinematografici sin dagli anni 50. Rossellini con “Francesco, giullare di Dio”, Zeffirelli con “Storia di una capinera”, “Wanted”, lo spaghetti-western con Giuliano Gemma, Orson Welles nell’avventurosa “L’isola del Tesoro” e in “Don Chisciotte”. Non ultimi, gli indimenticabili Franco e Ciccio in “Due mafiosi nel Far West” e nella commedia all’italiana di e con Nino Manfredi “Per grazia ricevuta”.
Ma torniamo nella stretta forra dove il Treja scorre, curiosamente, in direzione opposta al mare tra maestosi esemplari di pioppi, olmi, ontani, salici e sambuco nero. È questo un piccolo albero dai frutti nero-violacei, con cui si fanno le marmellate, che fiorisce tra maggio e giugno, mostrando grandi ombrelle di fiori bianchi utilizzati nelle frittelle aromatiche e in un’antica ricetta per l’aceto. Le belle romane usavano le ceneri di sambuco per schiarire i capelli fino al biondo. Il legno serviva invece per costruire zufoli e flauti per le sambucistrie, le suonatrici ritratte sui vasi attici, e arpe triangolari, le sambukè.
Ed ecco la via Amerina! Percorsi di terra e d’acqua a formare un’importante via di comunicazione che permise a Roma, per circa sette secoli, di controllare il bacino del Mediterraneo. Tra borghi arroccati, necropoli e castelli misteriosi, la via Amerina si srotola nella valle del Treja dal lontano III sec. a.C. e deriva il suo nome dall’antica città di Ameria, punto di arrivo del primo tratto. Tra le ombre allungate di alberi e ruderi, sgattaiolano discreti l’istrice, il cinghiale, la poiana e, chissà, forse qualche elfo dalle orecchie puntute. Provate a catturarli con uno scatto!
Spostiamoci un po’ più a nord nella Faggeta vetusta dei monti Cimini. Come per incanto, ci troviamo nel mondo fantastico di Alice nel Paese delle Meraviglie, circondati da grandi alberi secolari che s’insinuano tra massi tondeggianti ricoperti di muschio. Un quadro spettacolare che solo la Natura poteva dipingere in modo tanto sublime da essere riconosciuto Patrimonio Unesco dal 2017. Giganteschi faggi di 50 metri mostrano orgogliosi il tronco largo oltre un metro e sussurrano storie e aneddoti da due secoli nel silenzio del bosco. Una passeggiata da favola che serpeggia lenta, a piedi, a cavallo o in mountain bike, a Soriano nel Cimino.
Seguite il Bianconiglio per raggiungere la vetta del monte Cimino e incontrerete dei grandi massi di roccia magmatica. Sono rimasti lì, dormienti dopo le eruzioni vulcaniche di un milione d’anni fa, oggi sfide per i temerari praticanti del bouldering. Particolarmente ricercato per chi ama questo tipo di arrampicata è il Sasso Naticarello, o sasso menicante, una rupe tremante cantata persino da Plinio il Vecchio in “Naturalis historia”. È un enorme “uovo” lungo 8 metri e largo 6, dell’altezza di 3 metri e del peso di circa 250 tonnellate, in equilibrio su una sporgenza rocciosa al limitare del bosco di faggi.
Chi avrebbe mai immaginato che la temuta “silva Ciminia”, quel luogo tetro, sacro e invalicabile per gli antichi romani, tanto da erigerci tempietti dedicati a Giove Cimino, sarebbe stata calcata dalle macchine da presa per celebri film del calibro de “Il Marchese del Grillo” di Monicelli, “Yado” di Richard Fleischer, e la serie tv del 2019 “Il Nome della Rosa”?
In tema di misteri, dobbiamo spostarci nel Sacro Bosco di Bomarzo, dove gli enigmi da risolvere sono fin troppi! Sculture fantastiche e grottesche in un terreno boscoso ideate e sparpagliate senza un’apparente logica dall’architetto Pirro Ligorio, il creatore delle fontane di Villa d’Este a Tivoli, e da Vicino Orsini a metà del 1500.
In un saliscendi immerso nella vegetazione selvaggia, i grandi massi lasciati da movimenti tellurici hanno preso vita, scolpiti ad arte fino a creare un originale Parco dei Mostri, estremamente lontano dagli eleganti giardini all’italiana in voga all’epoca. Illogico e a tratti spaventoso, il Sacro Bosco è un labirinto di simboli, spesso dalle fattezze enormi, che genera sentimenti contrastanti che sfumano dallo stupore all’incubo. Questo folle incontro tra arte, letteratura e natura s’ispira ai poemi cavallereschi dove “sacro” significa “stregato”, proprio come il luogo dove ci troviamo.
Iscrizioni enigmatiche riferite ad Ariosto e Petrarca, costruzioni in apparente equilibrio precario, enormi maschere mostruose e misteriosi animali mitologici arrivano a confondere, mescolando e sovrapponendo simboli nascosti in ogni dove, e ad ispirare artisti eclettici come Salvador Dalì. Forse non c’è un senso da ricercare, non esiste una “risposta esatta”. È questo che si vuole suggerire con l’iscrizione “Sol per sfogare il core”?
Ancora storditi e avvolti dai dubbi, non resistiamo alla tentazione di visitare la Piramide Etrusca di Bomarzo, a meno di 5 km dal Sacro Bosco. Un mistero ben più antico, una vera e propria piramide dalla forma tronca e dalle origini sconosciute, nel cuore della Tuscia.
Su una piccola terrazza a strapiombo sulla Valle del Fosso Castello, ci godiamo un’eccezionale panoramica sul borghetto di Chia e sul castello dove abitò Pier Paolo Pasolini. Qui, tra alte falesie di peperino, sorge un’enorme pietra, alta circa 16 metri, sulla quale sono state scolpite diverse gradinate che portano a un altare.
Alcuni la ritengono un’opera etrusca del VII secolo a.C., e altri tirano in ballo una “mitica” civiltà preistorica che sarebbe vissuta nella Teverina Viterbese fin dal 4000 a.C., i Rinaldoniani. Furono citati anche nel Vecchio Testamento per la loro straordinaria statura e per la capacità di scavare la pietra, tanto da ricavare abitazioni e sepolcri nelle rupi. Per i Rinaldoniani fu forse un punto di osservazione astrale, mentre per gli Etruschi sarebbe stato un santuario, ma innegabile è la funzione di luogo sacrificale, testimoniata dalla presenza di canali di scolo. Diverse le modifiche nei secoli, soprattutto nel Medioevo, ma l’alone di mistero continua ad svolazzare su questo monumento.
Non indugiamo oltre e partiamo per il Monumento Naturale Bosco del Sasseto! Lo chiamano il bosco di Biancaneve ed è ai piedi del castello di Torre Alfina, uno de I Borghi più Belli d’Italia.
Ad Acquapendente, nel cuore della Riserva Natuale Monte Rufeno, la bellezza travolgente del bosco monumentale del Sasseto lo ha fatto eleggere uno dei “20 luoghi incantati d’Italia” secondo il magazine Swide. Roveri, cerri, faggi e agrifogli dalle secolari fronde scapigliate, massi avvolti da verdi muschi e felci arruffate contornano i sentieri Dai rami contorti e bitorzoluti si scorgono le merlature del castello Monaldeschi, l’antico mulino ad acqua, la cascata del Fosso Subissone, in località Aquilonaccio, e la tomba del marchese Cahen.
Qui si conserva la storia di un uomo che, a fine ‘800, amò a tal punto questo luogo selvaggio da renderlo accessibile per eleggerlo sua ultima dimora. È la storia di Edoardo Cahen, il marchese che iniziò il ramo italiano di una famiglia di banchieri belgi di origine ebraica. Acquistò a Torre Alfina una vasta tenuta con il castello, parte del borgo e la sottostante, allora impenetrabile, selva. Creò un dedalo di percorsi nel bosco monumentale in perfetta armonia con la natura e un piccolo mausoleo in stile neogotico che volle realizzare per sé, celato tra le piante di questo bosco fatato. Cinquanta ettari dove rigenerare l’anima, dove tornare bambini, con il naso all’insù mentre riusciamo a pronunciare solo tre lettere: WOW!
Siete pronti al silenzio, all’ululare del vento che scompiglia i capelli? Fermate il tempo per perdervi, e poi ritrovarvi.