Incredibile a dirsi ma nel Cimitero Monumentale del Verano si fanno “incontri” straordinari! Così nascono gli itinerari tematici che parlano di storia e personaggi famosi della letteratura, del cinema, del teatro e della musica qui sepolti. Ripercorrendone gesta e opere, soffermiamoci sui tre poeti che hanno saputo raccontare Roma in romanesco.
“C’è un’Ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va… Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”
Nasceva il 26 ottobre del 1871 Carlo Alberto Salustri, noto come Trilussa, un nome d’arte che anagramma il suo cognome. Il poeta che in romanesco ci ha accompagnato in 50 anni di vita quotidiana di Roma, ha raccontato in versi semplici e ironici le abitudini e condizioni del popolo, le emozioni che tutti sentiamo, l’amore, l’invidia, la felicità. Versi immortali, attuali, allora come oggi.
“Quelle sere d’agosto tanto belle ch’er celo troppo carico de stelle se pija er lusso de buttalle via”
Persino le stagioni in tutte le loro manifestazioni ha raccontato, dalle stelle cadenti alle lucciole.
“Unitamente a le sorelle mie faccio la luce su le cose belle”
E poi l’autunno con i suoi dubbi.
“Dove ve ne andate, povere foglie gialle, come farfalle spensierate?”
La sua statua ci dà il benvenuto a Trastevere, uno dei quartieri dalla romanità ancora viva di chi lo abita, una veracità che trasuda anche dai sampietrini che lastricano viuzze e vicoli. Proprio in questo rione storico gli s’intesta una piazza e una sala nel Museo di Roma in Trastevere. Sono custoditi i ricordi della sua casa-studio, per continuare eternamente a narrare la sua storia, pubblica e privata, e la sua arte.
Muore il 21 dicembre 1950, a ottant’anni. Curiosamente nello stesso giorno ci lasciò anche Giuseppe Gioacchino Belli, un altro cantore della romanità che lo precedette e ispirò. E tutto questo l’abbiamo scoperto al Cimitero Monumentale del Verano a Roma.
E così una passeggiata che per natura sarebbe taciturna, si riempie di voci, battute intramontabili, versi coloriti, sguardi intensi. È come se resuscitassero tutti insieme e su un enorme sipario immaginario chiosassero a turno
“Maccarone… m’hai provocato e io me te magno!” (Alberto Sordi)
“Lì sotto l’arberi de Lungotevere le coppie fileno li baci scrocchieno… si nun sei pratico de regge moccoli pè Lungotevere nun ce passà!” (Gabriella Ferri)
“Sceji tutte le stelle più brillarelle che pòi e un friccico de luna tutta pe’ noi” (Nino Manfredi)…
E tra mostri sacri come Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, Ferruccio Amendola e Rino Gaetano, arriviamo alla lapide del Belli. Ci sovviene che pare che la sua statua, nella piazza a lui intestata a Trastevere, sembra “mandarci a quel paese”. Da un satiro dell’800 del suo calibro possiamo anche aspettarcelo.
“I maritozzoli sono certi pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero, e talvolta canditure, o anaci, o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in Quaresima”
Incredibile è la quantità dei versi di Gioacchino Belli che raccontano in romanesco i piatti popolari romani. Questa passione non ce lo saremmo proprio aspettata da un “menestrello” che ha cantato usi, costumi e scaramanzie di Roma in modo così realistico. Poeta clandestino per quasi tutta la vita, non vide il successo delle sue opere e morì nel 1863.
Ed ecco spuntare nel Cimitero Monumentale del Verano anche Cesare Pascarella, un’altra delle glorie letterarie di Roma.
“Roma, si te la fabbricorno, La fabbricorno qui. Ma è naturale, Qui ci aveveno tutto: la pianura, Li monti, la campagna, l’acqua, er vino… Tutto! Volevi annà in villeggiatura? Ecchete Arbano, Tivoli, Marino. Te piace er mare? Sorti de le mura, Co’ du’ zompi te trovi a Fiumicino. Te piace de sfoggia’ in architettura? Ecco la puzzolana e er travertino. Qui er fiume pe’ potecce fa’ li ponti, Qui l’acqua pe’ poté fa’ le fontane, Qui Ripetta, Trastevere, li Monti”
Così, a cavallo del 20° secolo, questo irrequieto poeta romanesco descriveva l’unicità della storia di Roma. Pascarella è noto ai più per “La scoperta dell’America”, 50 sonetti che racchiudono il segreto della magia della sua penna. La storia è raccontata dai popolani in un momento di normalità quotidiana, all’osteria con un bicchiere di vino, con toni coloriti, termini ed espressioni dialettali, così autentici, forti e vividi.
Stimato da Giosuè Carducci e amico di Giuseppe Verdi, muore a Roma l’8 maggio 1940, sordo e solo. La sua statua mantiene vivo il ricordo in piazza Bucarest, nei giardini di Casina Valadier a Roma.
Questi e tanti altri personaggi raccontano Roma e l’Italia “all’ombra dei cipressi”. Passeggiamo tra i loro ricordi per conoscere la vera essenza romanesca di Roma.