I legumi, la famosa carne dei poveri, ricchi di valori nutritivi, sono ritornati oggi di moda come “dieta mediterranea”.
Fagioli, lenticchie e ceci della zona di Viterbo, sono rinomatissimi e di ottima qualità, per i metodi di coltivazione e i terreni particolarmente adatti a queste produzioni.
I fagioli erano di gran lunga i più usati nella cucina tradizionale. Il rito preparatorio iniziava con la pulizia che veniva fatta nel caratteristico “schifetto” e proseguiva con la messa in ammollo per una intera notte, per terminare con la cottura molto lenta in una pentola di coccio posta in un angolo del focolare.
I “fagioli del Purgatorio”, fagioli cannellini coltivati da centinaia di anni a Gradoli Acquapendente ed Onano; i “ceri” o “verdolini”, chiamati così per via del loro caratteristico colore della cera; e i borlotti che in dialetto si chiamano “bagianotti” sono le qualità di fagiolo vanto del viterbese.
La lenticchia, di origine asiatica, per il suo contenuto di ferro è considerata la più digeribile fra tutte le leguminose. Nella Tuscia e più precisamente ad Onano, fin dal XVI secolo viene coltivata una lenticchia che pur essendo di dimensioni maggiori rispetto alle altre, ha una buccia molto tenera e un sapore particolarmente gradevole. Nella settimana di ferragosto di ogni anno, per valorizzare il prodotto, ad Onano si tiene la Sagra della Lenticchia.
Il cece (cicerarietinum) già conosciuto dagli antichi Romani, da molto tempo è usato prevalentemente nei giorni di vigilia. I ceci non vanno mai consumati freschi appena raccolti, ma essiccati. Vanno messi in ammollo e in questo processo il cece assorbe molta acqua e raddoppia il peso iniziale. Nella Tuscia se ne producono varie qualità, ma quelli più caratteristici e di più antica tradizione sono i cosiddetti “ceci del solco dritto”di Valentano, dove la vigilia di ferragosto si tiene la tradizionale “Tiratura del solco dritto”.