Nel Lazio, non è 1° maggio senza fave e pecorino e il Concertone storico in piazza San Giovanni in Laterano! Camminate con noi nella storia e nelle storie che hanno trasformato fave e pecorino in un must in questo giorno di festa anche al Concerto più atteso dell’anno.
La tradizionale giornata all’aria aperta risale ai tempi degli antichi Romani. Si celebrava l’arrivo della Primavera con un menù ricco di leccornìe. L’abbinamento “fave e pecorino” con un bicchiere di vino esaudiva il desiderio di sfiziarsi con qualcosa di economico e facile da preparare. A Nepi il pecorino romano “tradisce le fave” e fa coppia fissa con il salame cotto, soprattutto durante la sagra che li vede protagonisti proprio a maggio.
Ma perché i nostri avi hanno scelto proprio questi due prodotti come simbolo della Festa di Primavera? Le fave crescevano nelle terre affacciate sul Mediterraneo già nel Neolitico. Inizialmente avevano un significato negativo perché i Greci ritenevano che le macchie nere a forma di Tau sul fiore bianco indicassero il principio della parola tanatos, ovvero “morte”. Inoltre dai gambi cavi credevano che le anime dei defunti risalissero dall’Aldilà.
Pitagora descrive il baccello come l’accesso al mondo dei morti e i semi come custodi delle loro anime. Da qui l’usanza ancora viva di mangiare le “fave dei morti” per Ognissanti, i biscotti di mandorle tipici di Roma e dell’Italia centrale. Platone sosteneva che le fave lo privasse della tranquillità spirituale necessaria nella ricerca della verità. E ancora, il sacerdote di Giove non poteva mangiarla né toccarla, il Pontefice Massimo neanche nominarla. Tutta colpa del baccello indigesto! Ma questo si scoprì molto più in là.
Finalmente si inizia a dare alla fava il significato positivo di “generatrice di vita” quando si riscontra una certa affinità estetica di baccelli e semi con il corpo maschile e femminile. In questa nuova veste, la troviamo nelle celebrazioni della dea Flora, protettrice della natura in fiore. Fu così che il lancio dei baccelli si considerò di buon auspicio. Dalla prosperità al potere afrodisiaco il passo fu breve soprattutto quando gli scienziati moderni confermarono la presenza di principi attivi che aumentano la libido. Divenne un elemento irrinunciabile nelle ricette della tradizione culinaria romana, associato spesso e volentieri a un’altra prelibatezza regionale, il Pecorino Romano.
Sin dai tempi della Roma Antica, Plinio il Vecchio e Ippocrate spiegano i metodi di produzione di questa delizia dei palati dei Latini. Rientrava persino nella dieta dei legionari prima delle battaglie per la facile conservazione e digeribilità. Forse non tutti sanno che nel Lazio c’è un suo illustre antenato, il Cacio Fiore. È un formaggio di latte crudo ovino con l’aggiunta di caglio ricavato dal fiore di carciofo della Campagna Romana. Ed ecco svelato il significato del nome “bucolico” di questo Presidio Slow Food dal 2005 prodotto a Roma, Anguillara Sabazia e Trevignano Romano.
Ma torniamo al Pecorino Romano DOP. Insieme alle tenere fave romanesche si serve tradizionalmente alla fine dei pranzi luculliani nella Festa del 1° Maggio o Maggetto.
Quando si parla di fave, salta subito in mente la Vignarola Romana. Questo delizioso contorno o piatto unico è un mix di cipolle, carciofi romaneschi, piselli, fave, lattuga romana e tanto Pecorino Romano DOP. Prende il nome dai “vignaroli”, i contadini che, dopo il duro lavoro nei campi, si deliziavano con i sapori tipici di maggio non scevri dalle decantate doti afrodisiache.
Ora sapete cosa mangiare e qualche aneddoto. Siete pronti a godervi il Concertone del Primo Maggio!